San Pierino in Campiano festeggia l’Unità d’Italia/Il discorso di Nucara Un omaggio alla storia e una riflessione politica di Francesco Nucara Discorso per la celebrazione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, sezione Pri F.lli Bandiera, S. Pierino in Campiano (RA), 30 settembre 2011. Presenti alla cerimonia, oltre a Nucara, Giancarlo Camerucci, Giannantonio Mingozzi, Bruna Righi, Vidmer Mercatali e autorità e dirigenti politici romagnoli. Nell’occasione si festeggiano i 100 anni di Arride Zanchini, storica figura della quale ha parlato anche Nucara. Sono molto felice di essere qui con voi a celebrare il centocinquantenario dell’unità nazionale. La scorsa settimana sono andato con una delegazione di repubblicani a Porta Pia per commemorare il 20 settembre. Gli omaggi resi alla Storia devono essere prima di tutto occasione di riflessione politica. Noi celebriamo i 150 anni dell'Unità d'Italia, ma sappiamo bene cosa sia l’Italia unita dalla corona dei Savoia , e cosa sia invece l’Unità Nazionale della Repubblica per cui si spesero i nostri avi. Ed è qui in Romagna che molti dei combattenti per la Repubblica Romana, ma anche poi a Monterotondo e a Mentana, vennero a rifugiarsi e a piantar radici. E’ stato da poco pubblicato un libro di Giancarlo Mazzuca e Luciano Foglietta che reca un titolo che non potevo ignorare: "Sangue Romagnolo", dove si afferma che "forse l’amicizia è impressa nel Dna dei romagnoli, perché solo in questa terra può vincere le peggiori degenerazioni della politica". Voglio in questa occasione dire che se in tutti questi anni ho avuto un amico sincero a Ravenna, con cui il personale si è intrecciato fortemente con il politico, e gliene sarò sempre grato, questo è stato Bruno De Modena. Ne approfitto per dire che la Segreteria del Partito è sempre stata per me un onore, ma al contempo un forte onere, e che solo la solidarietà degli amici repubblicani mi ha consentito in questi 10 anni di portarla avanti. Io sono sempre stato legato a tutti i repubblicani, quali che possano essere state le posizioni politiche e i rapporti personali che con loro ho intrecciato. Bruno De Modena mi è particolarmente caro per la sua costante e coerente vicinanza, a me e soprattutto alla vita del Partito. Ma al contrario poi, parafrasando Guido De Ruggiero, mi dispiace molto per quei repubblicani che, privati oggettivamente della livrea di maggiordomo, si scagliano con contumelie di ogni tipo contro chi le livree le ha aborrite fin da ragazzino! Il dileggio di cui è stato oggetto in questi ultimi giorni il PRI, via web e via stampa, che ha voluto vergognosamente affibbiare un’identità "suina" al nostro Partito, è derivato da un personaggio che per 20 anni ne ha impersonato la leadership, grazie alla quale (e a qualche piccolo "aiutino") ha ottenuto presidenze di Commissioni Parlamentari e Ministeri. Quanto agli "impegni inconfessabili" assunti con l’attuale Governo, quelli che vengono con toni di pietosa dolenza ipotizzati dal suddetto personaggio: faccio qui doverosamente presente, a lui e a chi eventualmente ne fosse stato suggestionato, che l’atto della "confessione" non mi appartiene, né in senso di pratica religiosa, né tantomeno in senso etico. E ciò per il semplice motivo che il mio agire politico è sempre stato mondo da tale esigenza. In Romagna furono molti quelli contrari a Mazzini, perché aveva accettato il compromesso monarchico, ossia l’Unità d’Italia sotto casa Savoia. Sapete bene che Mazzini è stato contestato in tutte le direzioni e lo stesso Orsini, nato qui a Meldola, lo abbandonerà. Prima gli si rimprovera di allestire piani velleitari, con spedizioni che finivano inevitabilmente nel sangue, e poi gli si rimprovera di volere l’Unità prima ancora della Repubblica. Ci furono mazziniani, è il caso di Crispi, che lo scavalcarono a destra, arrivando a dire che la Repubblica divide ciò che la monarchia unisce! La nostra è una famiglia molto variegata, che vive da molto prima dell’Unità d’Italia e che ogni tanto dimentica il punto cardinale della politica mazziniana: l’Unità. Senza l’unità del Partito non si ottiene nulla. Io ho lavorato solo per avere un partito unito, e questo lo rivendico! Ma la nostra storia ci racconta che c’è sempre stato qualcuno che voleva avere ragione anche contro il partito stesso. Alla fine dell’Ottocento per esempio i Repubblicani si divisero tra astensionisti, non volendo far parte del Parlamento sabaudo, e istituzionalisti, che invece volevano partecipare alle elezioni. E proprio qui in Romagna, nel ‘22, a Ravenna, si stilò il documento di mediazione tra fascisti e repubblicani, con l’allora segretario Ubaldo Comandini, il quale addirittura si batté per la scissione del PRI, con la Costituzione autonoma dei Repubblicani di Romagna e delle Marche. Potrei citare anche il ferrarese Italo Balbo, che procurò il danno maggiore, culturalmente, quando si impegnò a far passare Giuseppe Mazzini come il "padre" del fascismo. E potrei riferirmi anche a tempi recenti: il 1963, il 1994 e così via. Ovviamente sto parlando della natura dei repubblicani, soprattutto romagnoli, ma a dire il vero in altre parti d’Italia non è andata molto meglio! Ed è superfluo dire che in quanto sto dicendo non ci sia alcun intento polemico, ma è certo che un tentativo di riflettere sui nostri errori sia, ora più che mai, indispensabile per cercare di correggerli. C’è un’anima anarchica repubblicana che a volte rischia di sembrare troppo autoreferenziale. Proprio nella ricorrenza di questo centocinquantenario, il partito si è trovato a dover affrontare un problema interno molto delicato, che all’esterno ha purtroppo avuto riflessi spiacevoli, quando non negativi. Di fronte alla doverosa celebrazione di questa ricorrenza storica, i partiti di governo hanno dimostrato un atteggiamento di distacco, che ha rasentato il disinteresse dichiarato, se non un’autentica avversione, come nel caso della Lega. Quando Bossi dice che Garibaldi è stato "un massone al servizio della monarchia sabauda venuto a opprimere il Nord", dice una cosa che storicamente ha un suo preciso significato, nel senso che, nelle intenzioni dei Savoia, l’Unità d’Italia poteva coincidere con l’idea di un Piemonte allargato. Bossi non conosce l’eterogenesi dei fini, manca della necessaria sottigliezza intellettuale per comprendere fenomeni complessi e preferisce alzare il pugno chiuso, quando non si abbandona a più pesante mimica... L’asse con Berlusconi ha fatto rientrare le spinte secessioniste della Lega. Bossi si vanta di guidare l’unico partito che ha difeso le pensioni. Ha ragione: perfino Bersani ha capito che, se non si modificano le pensioni, l’Italia affonda sotto lo stock del debito. In Germania vanno tutti in pensione sopra i 65 anni. Perché mai dovrebbero finanziare un paese che ha i baby pensionati? Ed è bene ricordare che due terzi dei baby pensionati sono al Nord. Io speravo che Bossi dimostrasse almeno rispetto per i soldati, quasi tutti giovani meridionali, morti in Afghanistan. La loro morte ha onorato gli impegni del governo di cui lui è ministro. Spero che comprendiate perché intendo chiudere il centocinquantenario dicendo che bisogna liberare il governo da questa Lega e che bisogna pensare ad una alleanza politica che si preoccupi di salvaguardare l’unità nazionale e non il futuro di un’inesistente Padania. Credo che i romagnoli possano capirmi meglio di altri, perché la delusione verso Bossi è stata enorme anche da queste parti. Invece so bene che la maggioranza dei repubblicani di Ravenna non mi comprende o rifiuta di comprendermi su un altro versante: la scelta dell’alleanza politica. Eppure ho sempre detto che l’alleanza politica la decide un Congresso: quella nella quale ci troviamo oggi non l’ho decisa io, ma il Segretario nazionale prima di me, che poi ha aderito al gruppo del PDL contro l’indicazione del partito e ancora detiene incarichi parlamentari in quota PDL, lo stesso PDL nelle cui liste è stato eletto. L’attaccamento ad un partito non deve essere conseguente alle funzioni che vi si svolgono. E il tanto agognato "rinnovamento" non deve essere un momento di rottura all’interno di un partito, bensì un processo funzionale alla sua vita politica. Se un Presidente di partito vuole dimettersi dalla sua carica, gli ricordiamo che la forma corretta è stata quella adottata da Bruno Visentini: "Lascio la presidenza perché reputo che il PRI abbia esaurito la sua missione storica". Io mi permetto di credere invece che la missione storica del Partito Repubblicano non si sia ancora compiuta e che anzi, mai come in giorni come questi, servano i principi politici e morali dei repubblicani. Come scrive Giovanni Spadolini nel volume "I Repubblicani dopo l’Unità d’Italia", a proposito della dichiarazione del Triumvirato del 17 maggio 1866 (Quadrio, Brusco-Onnis, Marcora): "E’ quella coscienza repubblicana che porterà i seguaci di Mazzini sulla via del non expedit elettorale sul piano della separazione e della scissione, sul terreno dell’isolamento e della solitudine politica, unica garanzia per salvare l’anima, per evitare l’abiezione e la corruzione. Non si spiegherebbe la storia futura del partito e la sua stessa sopravvivenza e la sua rinascita e il suo prestigio senza risalire a quella componente spirituale di essenziale importanza, a quella volontà ascetica e temeraria di evitare le contaminazioni e le commistioni pur di preservare il ‘verbo’ di domani…". A volte credo che la storia sia ancora tutta da fare e spero che ci saranno i nostri eredi impegnati sul campo. Anche nei confronti della legge e della Costituzione che vediamo violate in più momenti e da diverse parti. Possiamo discutere di cosa sia l’onore di una carica pubblica, non possiamo discutere invece di cosa siano le violazioni del proprio privato, che pure la Costituzione dovrebbe garantire. Mazzini, di cui si spiava la corrispondenza in Inghilterra, mise per questo in crisi un Governo. L’Inghilterra era ed è un paese civile, noi a 150 anni di distanza, molto meno. Molti amici del partito romagnolo si fanno portatori di una loro verità: sono loro e soltanto loro i testimoni del repubblicanesimo storico. Chi come me non è romagnolo non può comprendere cosa questo significhi sul piano politico. Rispondo con una lezione di Francesco Perri, che li invito a leggere: "I repubblicani di fronte al fenomeno fascista, bisogna riconoscerlo francamente, non furono concordi e non lo sono. Tuttavia è indubbio che la grande massa seguì la Direzione Nazionale del partito nella sua opposizione irriducibile contro questo movimento anarcoide e La Voce Repubblicana fu forse l’unico giornale non socialista d’Italia che avversò il fascismo con implacabile ardore fin da quando tutto concorreva a circondare di un nimbo di eroismo patriottico le squadre d’azione. Ma non mancarono, specialmente in Romagna e qua e là tra vecchi repubblicani, uomini di valore e di assoluta buona fede, che, o protestarono clamorosamente contro l’antifascismo degli organi di partito, o masticarono amaro". Amici romagnoli, un po’ di modestia a volte non guasta. E’ giusto però ricordare che senza la Romagna molto probabilmente il Partito Repubblicano non sarebbe mai esistito. Qualche anno prima della fondazione del Partito vi erano sacche di post-mazziniani solo in alcune zone del paese: Romagna, Marche, Toscana, Genova, Roma. Il Pensiero Romagnolo, diretto da Gaudenzi fin dall’8 agosto 1894, diventò l’organo ufficiale del partito. E fu la Consociazione Romagnola che organizzò la fondazione del Partito Repubblicano, formalmente costituito il 21 aprile 1895, passando poi i poteri alla Direzione eletta al Congresso di Firenze. Sangue Romagnolo! Come recita il libro che abbiamo citato. A Forlì dal 3 al 5 ottobre 1903 si tenne il Congresso Nazionale del Partito Repubblicano Italiano. In quell’occasione fu approvato un ordine del giorno, che ricordo qui proprio perché, dopo 108 anni, è di un’attualità sconcertante. Lo avessi letto prima, lo avrei riproposto all’ultimo Congresso. Partendo da questa premessa così recita quell’ODG: "Di fronte al ripetersi di casi di indisciplina dei parlamentari che rendono estremamente difficili i rapporti tra il gruppo parlamentare e le organizzazioni del partito, il Congresso approva il seguente Ordine del Giorno: ‘i deputati repubblicani sono liberi e però responsabili dell’opera loro rispetto all’azione del Partito, la quale azione deve essere la sua base precipua, in mezzo alle organizzazioni operaie e popolari’". Per questo motivo qualche anno dopo fu espulso il valente deputato Salvatore Barzilai. La storia si ripete, nell’immortalità delle nostre idee riassunte tanto efficacemente nel motto "Pensiero ed Azione". Queste due parole per un repubblicano saranno sempre inscindibili. |